Sembra trascorso molto meno tempo, ma 20 anni fa, il 1° gennaio 2002, l’Italia, assieme ad altri 11 stati (Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda,Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna e Portogallo) ha abbandonato la storica valuta per passare ad una moneta unica.
L’Euro ha una storia lunga, per certi versi travagliata. Pone le sue radici già nel 1899, anno in cui fu istituito il comitato Delors. Sotto la presidenza del suo omonimo creatore, Jacques Delors, allora presidente della Commissione, il comitato esaminò specifiche misure graduali verso l’adozione di una moneta unica. La nascita ufficiale del sistema monetario unico è attribuibile alla firma del Trattato di Maastricht nel 1992, dove gli stati membri aderiscono ufficialmente all’adozione della moneta. L’Istituto Bancario Europeo, con sede a Francoforte, nascerà nel 1994, mentre la famosa BCE (Banca Centrale Europea) si attiverà solo nel 1998.
Una finestra di ben 10 anni tra l’adozione della moneta unica e l’effettiva messa in circolazione, a fronte dei soli due mesi nei quali i cittadini degli stati aderenti hanno potuto, anzi dovuto, arrangiarsi tra calcoli e cambi vari.
L’introduzione dell’euro e le controversie
Sono molto note le controversie legate all’introduzione dell’euro, dovute specialmente alla percezione di svantaggio per i vari tassi di cambio tra le varie ex monete locali e l’euro.
Altra fortissima critica mossa dai consumatori negli anni, è quella che nel corso di breve tempo il tasso percepito di cambio della moneta fosse di 1000 Lire per 1 Euro, invece delle quasi 2 mila lire (1936.27 per la precisione).
Analizzando i dati statistici però, si può evincere come l’Euro non abbia affatto creato la fiammata inflazionistica tanto denunciata, ma si sia semplicemente adeguata alla crescita inflazionistica già esistente col periodo antecedente alla sua adozione.
Secondo uno studio approfondito pubblicato dall’ISTAT nel 2003, non c’è una reale causa attribuibile al repentino aumento dei prezzi se non quella della ricerca di un prezzo “attraente”, ovvero la classica “cifra tonda”, adottata da molti, in favore di una modifica ai prezzi col giusto tasso di cambio.
L’impennata dei prezzi, secondo le analisi, si è presentata per tutto il 2002, per poi cessare gradualmente mantenendo però il danno arrecato. Da allora, logicamente, i prezzi non sono più scesi.
In summa, si può tranquillamente dire che non sia stato solo l’Euro a diminuire il potere d’acquisto degli italiani in quel periodo, ma anche (e forse soprattutto), la pratica di arrotondare per in eccesso rispetto al tasso di cambio (nda: Al lettore si lascia piena facoltà di decisione sull’onestà o meno dell’operazione).
I decenni precedenti
Per sfatare il mito che vede l’Euro come principale attore dell’impoverimento generale, vale la pena confrontare anche lo stato economico italiano nei decenni precedenti, analizzando il costo dei prodotti comparato al potere d’acquisto relativo, rapportandolo all’inflazione dell’epoca.
Cerchiamo di capire se effettivamente adesso ci possiamo considerare più poveri.
Confrontando i due strumenti sopra è possibile notare come, nonostante l’inflazione più o meno altalenante e in genere sempre positiva dal dopoguerra ad oggi, il potere di acquisto nel corso dei decenni è andato via via migliorando, assieme alla qualità dei beni primo consumo, e alla qualità dei servizi.
L’Euro(zona) come forza comune
Impossibile nascondere, inoltre, come l’Euro sia in realtà una forza comune tra gli stati che lo hanno adottato, basti pensare ai vari tassi di cambio, spesso sfavorevoli nei confronti del Dollaro Statunitense, al rapido sorpasso già dopo solo un anno di circolazione.
Un vantaggio che, nel corso degli anni porterà ad una forza maggiore negli scambi internazionali, oltre che ad una solidità maggiore della moneta stessa.
Non è da nascondere che l’Euro sia stato più volte usato come salvagente per attutire crisi economiche locali e globali come quella del 2008 e il crollo degli export dovuti alla pandemia ancora in corso. Col senno di poi, probabilmente ci saremmo ritrovati in condizioni assai peggiori, senza contare il gettito economico stanziato proprio per il rilancio dell’economia colpita negli ultimi 2 anni.