Riceviamo un interessante articolo a firma del Cap. Salvatore Cannizzo, Collaboratore esterno di Commissione Parlamentare Nazionale antimafia, sul tema “Sicurezza e riflessi socio-culturali”.
La richiesta di sicurezza non coincide più con la protezione dei confini e delle istituzioni di uno Stato, invero, essa è incentrata sulla sicurezza di ogni singola persona. In estrema sintesi è questo il contributo di riflessione in tema di sicurezza maturato dal sociologo e matematico norvegese Johan Galtung, precursore degli studi sulla costruzione della pace positiva, quell’area di ricerca che si occupa non solo dell’assenza di guerre, bensì del prodotto di azioni pacifiche; lo studio della pace positiva è una specifica della polemologia, cioè l’analisi dei conflitti originati dalle guerre e i fenomeni sociali e politici ad essa correlati. La sicurezza sociale è percorsa da veloci cambiamenti, costanti mutamenti che riflettono ricadute anche sulla quotidianità della persona, minacciata oggi da tre tipi di violenza:
– diretta, quando il patimento origina un pericolo/danno alla persona e/o cose;
– strutturale, allorché l’ingiustizia, l’immigrazione incontrollata, lo sfruttamento, la povertà e la corruzione costringono gli individui a vivere in una situazione di notevole disagio;
– culturale, quando si convincono i popoli e le singole persone che nel nome di Dio, o di qualche altro ideale, essi sono giustificati a nuocere ad altri popoli e/o persone.
Nel gennaio del 2001, su richiesta dell’ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, è stata istituita una Commissione sulla Sicurezza Umana, col compito di definire il nuovo concetto di sicurezza. La relazione finale datata 2003 definisce la sicurezza come “la protezione delle libertà fondamentali, cioè le libertà che sono l’essenza della vita”, tra le quali “rispettare la diversità e incoraggiare lo scambio reciproco”. Attraverso gradi diversi di analisi ragionate si è potuto osservare che il concetto di sicurezza è fortemente condizionato dall’incidenza che determina la condizione di insicurezza percepita o vissuta dalle persone, che assume dimensioni diverse a seconda dell’epoca storica. In età pre-moderna la protezione dall’insicurezza era data dall’appartenenza a comunità contadine o, in città, a corpi, gilde e così via, dove la costrizione alle norme del gruppo si sposava alla sicurezza. Si può parlare allora di “protezioni ravvicinate”, dal momento che tali società erano “assicurate” da se stesse, perché proteggevano i loro membri sulla base di fitte reti di dipendenza ed interdipendenza. Con l’avvento della modernità (la cosiddetta modernità solida) l’insicurezza è diventata la principale condizione della maggior parte della popolazione, laddove la libertà dalle antiche costrizioni ha prodotto la dissoluzione dei legami sociali tradizionali non compensata da altre appartenenze e protezioni. A questo punto dobbiamo chiederci: la nostra richiesta di sicurezza è legata anche alla crisi dello Stato sociale? La risposta è affermativa, nel senso che attualmente assistiamo ad una fase di grande fragilità del compromesso dello Stato sociale, soprattutto nel momento in cui le difficoltà economiche delle famiglie, la mancata certezza sanzionatoria della pena, la violenza urbana, l’immigrazione incontrollata, la dilagante disoccupazione e le forme di corruzione originano una miscela dalle conseguenze negative, tali da far vacillare la protezione sociale e il servizio pubblico. Conseguenza è l’emergere, o meglio il riemergere, di un forte sentimento di insicurezza, che nell’attualità si traduce nella paura ancorata agli effetti immigratori e nella paura della criminalità dovuta all’aumento dei reati di una componente violenta, particolarmente legata allo sviluppo di sacche di disagio urbano. Nel corso degli ultimi anni anche il tema della prevenzione attraversa una forte crisi, ciò per una serie di difficoltà causate, in primo luogo, dall’allarme violenza, che rende maledettamente più complicato il quadro d’insieme che attiene alla carenza di forze di polizia sui territori, sempre più lontani dalla funzione originaria, che era preventiva, trasformata in una funzione primariamente reattiva di caccia al delinquente. Le istituzioni, dunque, tendono a porre in essere politiche repressive che mal si adattano ad una delinquenza diffusa, occasionale, di massa o frutto di riflessi socio-culturali condizionati. È chiaro allora che il concetto di prevenzione e quello di sicurezza rappresentano un binomio inscindibile.
Fattore di prevenzione che viene lasciato alla disponibilità economica delle famiglie, sempre più costretti alla realizzazione individuale di una rete di opposizione all’insicurezza, dando origine così a forme variegate di sicurezza succedanea, surrogata, che rimane tale nel momento in cui l’organizzazione statuale non riesce a garantire la presenza continua e strutturale del controllo del territorio o la prevenzione del fatto-reato. Pertanto, si sviluppa nelle persone il tarlo isolazionista che stimola il rinchiudersi in se stessi, o fra le mura della propria casa, i cui riflessi negativi si traducono in una schermatura socio-culturale di opposizione verso chiunque, gli altri: la chiusura materiale e culturale, quel senso di permanente insicurezza che domina le nostre vite. È vero che le protezioni dalla violenza e dai rischi dell’esistenza sono ancor oggi piú elevate di quanto non fossero un secolo fà, però accade che ambedue i generi di protezione vengano erosi da un’ideologia che attribuisce solo all’individuo la responsabilità dei suoi mali, e da un sistema politico che non riesce a fornire risposte strutturali in tema di ripresa produttiva ed economico-imprenditoriale, che al pari di una diffusa insicurezza percepita, ascrivibile oggi all’immigrazione non controllata, fomenta e divide le persone – classificazione abbietta – in vincitori e vinti. Per accrescere la sicurezza materiale dei beni e delle persone è necessario difendere lo Stato di diritto. L’unica condizione per contrastare l’insicurezza dinanzi al futuro affonda le radici sulla difesa e salvaguardia dello Stato sociale, dotandolo della capacità di far fronte alle contingenze generate dalle paure sociali, dall’assenza di opportunità di lavoro per i giovani, dall’anarchia dei mercati globali. A ricondurre entro limiti ragionevoli l’una e l’altra deve provvedere lo Stato senza aggettivazioni.