“DEO OPTIMO MAXIMO
Anno Domini 1693, die quartodecimo ante calendas maias, hora prima dimidia post meridiem primo lapide iacto ab Ecc.mo Domino D. Carlo Maria Carafa Principe Buterae et Roccellae ac S.R.I.”
Sono le prime parole dell’epigrafe di fondazione della città di Grammichele, incise nel primo blocco di pietra, testata d’angolo gettata nelle viscere del nuovo centro urbano, alle ore 12.30 del 18 aprile 1693, nel corso di una solenne “funtione” che sanciva, nel panorama dei centri del Val di Noto, la nascita di un vero e proprio gioiello urbanistico come Grammichele, città esagonale, concepita da don Carlo Maria Carafa Branciforti della Spina, principe istruito nella teologia, nelle lettere, nella filosofia, nella matematica e in tante altre discipline liberali.
Il Carafa, che era venuto nel feudo destinato ad accogliere la novella città il 10 aprile 1693, aveva portato con sé da Mazzarino le maestranze, avvalendosi della collaborazione del frate architetto Michele da Ferla. Da un sontuoso padiglione barocco il Principe dirigeva il cantiere della fondazione, mentre attorno a tanto fasto, che destò la meraviglia dei contemporanei, stavano accampati in modesti ricoveri di paglia i superstiti del terremoto dell’11 gennaio 1693, lungamente provati dagli stenti subìti dalla perdita delle case e dei familiari sotto le orribili macerie di quell’infausta giornata.
Gli Occhiolesi si erano affidati alla guida dell’arciprete don Francesco Micciardo, che, in quanto parroco della chiesa Matrice di San Nicola in Occhiolà, godeva della piena fiducia dell’augusto Principe, il quale di fatto si serviva del religioso come di suo agente e procuratore, a tal punto che gli affidò la gestione delle risorse da investire nella costruzione della città, una volta che lo stesso Carafa fosse tornato nella sua consueta corte di Mazzarino.
Quel 18 aprile di trecentoventotto anni fa, che oggi voglio ricordare con queste poche righe, nella vasta area dove sarebbe sorta la grande piazza esagonale crescevano spontanee numerose piante di asfodelo, ragion per cui il sito fu denominato “chianu delli purrazza”, secondo la voce dialettale. Si dà pure il caso che il fiore di questa pianta in Omero indicasse i vasti campi dell’Ade dove dimoravano i morti. Era come se i morti di Occhiolà fossero germogliati dalla terra e salutassero, quel giorno, l’inizio di una nuova storia.
La mattina della fondazione, il Carafa si pose ad un angolo del piano e collocò in altri cinque punti altrettanti dignitari: Giovanni de Silvestro, Mario Centorbi, Giacomo Polizzi, Liborio Perrotta, Angelo Magro, tutti personaggi di rilievo della distrutta Occhiolà nonché superstiti i quali avevano vissuto e attraversato con coraggio i patimenti della distruzione. Insieme al Principe nello stesso angolo ove oggi sorge la Matrice Chiesa stava don Francesco Micciardo, che quella mattina, in un’atmosfera di giubilo, vedeva gettare la prima pietra non solo della nuova città, ma anche della Chiesa principale, dedicata a San Michele Arcangelo, principe delle milizie celesti, giusta l’autorizzazione ottenuta dal Vescovo di Siracusa di allora mons. Francesco Fortezza.
Fu così che a soli tre mesi dal terremoto, dopo breve attesa, nacque Grammichele, progettata dal Carafa stesso e tracciata sul terreno dal frate Michele da Ferla. Non mancò di stupire il Principe, immaginando una città che fece incidere nell’ardesia, come in un ricamo, quando pensò di realizzare un impianto urbano costituito da sei anelli esagonali concentrici, scaturenti tutti da un’immensa piazza centrale seiangolare, avente come ombelico una croce meridiana e un nucleo con grandi isole abitative, destinate al clero e ai gentiluomini, mentre sui massimi lati dell’esagono sorgevano sei borghi rettangolari, ciascuno con piazza quadrata, di modo che tutto il popolo potesse ivi trovare la gioia di una nuova casa sopra un sito più stabile e ameno per il cielo e per l’acqua.
I tre assi viari principali, intersecandosi con altre strade secondarie, generavano un reticolato urbano ordinato con ampie vie e ampi spazi, che avevano il pregio, già alla fine del secolo XVII, di tenere conto di esigenze antisismiche e di punti di raccolta nel caso di nuovi terremoti. Di fatti la pianta di Grammichele racchiude e compendia in sé le esigenze della fruizione, da parte degli abitanti, di uno spazio urbano ampio, chiaro e funzionale, per porre riparo al grande trauma dell’11 gennaio 1693 e nel contempo è la manifestazione tutta barocca di uomini, come il Carafa o il frate da Ferla, entrambi nati a metà del Seicento e quindi imbevuti di una raffinata cultura, che si nutriva dei grandi modelli urbanistici del Cinquecento, senza mai dimenticare l’humus controriformistico.
E di fatto il grande esagono di pietra, sebbene appaia frutto di una mentalità razionalistica, in realtà volle essere un teatro di santi, se pensiamo che tutta la città fu divisa in sei sestieri e sei borghi intitolati a San Michele, San Carlo, Santa Caterina, SS. Annunziata, San Rocco e Sant’Angelo Custode, che guardavano tutti al grande monumento cruciforme dell’omphalos, che nelle intenzioni del fondatore doveva scandire il tempo, segnando, come meridiana a foro eliottrico, l’ora sesta (mezzogiorno), che ricordava a tutti l’Incarnazione di Cristo.
Oltre a ciò va pure detto che la razionalità geometrica del nuovo abitato era finalizzata nelle intenzioni del Principe Carafa a creare uno spazio urbano ispirato, come lo stesso illustre don Carlo ebbe a scrivere in una sua opera, al principio della “simmetria sociale”, ovvero sia all’idea che tutto il corpo sociale, pur distinto in classi, dovesse trovare una ordinata disposizione dentro il terreno urbano, onde evitare il disordine e il caos, fonte di sedizioni e di anarchia.
Nel ricordare quell’evento che segnò per la nostra comunità cittadina un nuovo inizio, facciamo memoria del Nostro illustre Principe don Carlo Maria Carafa, al quale tutto dobbiamo, anche se Egli non vide compiuto il suo sogno, perché morì il 1° giugno 1695, e onoriamo i nostri antenati che si prodigarono con ogni mezzo, affinché i loro figli potessero abitare in una nuova città sicura, nello stesso tempo augurandoci che, come nel sorgere delle nostre origini ai dolori e ai patimenti della rovina seguì la luce e la gioia della rinascita, così anche oggi auspichiamo per la nostra amata città di Grammichele e per tutti il ritorno ad una stabile condizione di sanità pubblica e di benessere.
Grammichele, 18 aprile 2022
329° Anniversario della Fondazione
Giuseppe Palermo